Da piccolo impazzivo per il far west, con tutte quelle storie di indiani, bufali e gente che sputa e fa allegramente a cazzotti nei saloon: avevo (ho) tutti i numeri di Tex, un fortino di legno con cui passavo ore e ore a giocare e una sfliza di indiani e cow-boy plasticosi. Cioè, più o meno, perché ero povero – in realtà scoprii anni dopo che non era vero, ma me lo facevano credere i miei per porre freno alla mia ansia di spendere tutti i risparmi in sala giochi – i fumetti facevano parte della collezione di mio padre, il fortino era uno scalcinato patchwork di stuzzicadenti e schegge che ancora credo di aver conficcate nelle dita, alla maggior parte dei soldatini mancava la testa o aveva una qualche altra menomazione fisica e dunque venivano tranquillamente rimpiazzati da Kombattini, Transformers o qualche pupazzetto dei Master of the Universe. Di avere un cavallo, poi, nemmeno per scherzo, e il suo feticcio era la fusione tra un vecchio manico di scopa e un pezzo di gommapiuma. Insomma, più che un sogno ammerregano, il mio era un guazzabuglio di giocattoli riciclati e cose che non c’entavano nulla l’un con l’altra. Non so come, non so perché, ad oltre venti anni di distanza, i ragazzi di Asymmetric hanno ritrovato le tracce del mio personale far west e l’hanno concretizzato in West of Loathing, un mix tra un adventure e un RPG con combattimenti a turno, dove ogni cosa è genialmente assurda, i dialoghi sono un inno al non-sense – ma solo all’apparenza – e c’è dentro un po’ di tutto, da mucche zombie e fantasmi con la passione per la burocrazia, fino ai più classici cattivi da “Wanted” e negromanti.
CAVALLI PAZZI
Raccontato così, West of Loathing sembra una cosa completamente senza senso, uno scherzo forzato di chi non aveva alcuna idea sul cosa stesse mettendo nero su bianco e, colpito da bulimia di contenuti, ha ficcato nella sua opera qualsiasi cosa passasse per la sua testa. Non escludo sia andata effettivamente così, ma ciò che più conta è il risultato finale, perché West of Loathing è una running gag continua e perfettamente riuscita, dalla creazione del personaggio, fino ai titoli di coda. La storia narra della più classica avventura sulle strade polverose non ancora battute di un’America selvaggia e procede di pari passo con la creazione di una ferrovia, classico strumento di civilizzazione a stelle e strisce di quel periodo: su questa base si innestano le vicende strampalate di un giovane avventuriero che, stanco delle monotonia di casa propria, decide di intraprendere il pericoloso viaggio verso la costa occidentale. Già dalla creazione del personaggio, West of Loathing mostra la sua vena comica: al posto del classico guerriero c’è il cow puncher, fortissimo nel corpo a corpo, soprattutto contro le mucche indemoniate apparse dopo il Day the Cows Came Home. Sì, perché in West of Loathing, giusto per non far mancare nulla, c’è pure del soprannaturale e, perché no, della fantascienza, con portali per altre dimensioni e alieni nascosti nelle caverne. Dicevo delle classi: c’è poi il mago, solo che è chiamato Beanslinger e la sua forza consiste nel cucinare pericolosissimi fagioli. Infine, pedina immancabile dei western, c’è il pistolero, abile con la sei colpi e che viaggia in compagnia di una valigetta piena di serpenti da scagliare contro i nemici. Ci sono ovviamente le statistiche, come in ogni GDR che si rispetti, ma non sono proprio le solite, perché va bene che il far west era popolato da gente barbuta e lercia, ma anche l’occhio vuole la sua parte, e quindi perché non inserire nel menù del PG una voce chiamata glamour? Ancora non siete convinti di quanto sia strambo West of Loathing? Consiglio di fare un giro nelle impostazioni, dove spiccano, fra le varie opzioni, una chiamata Color Blind Mode e che non fa assolutamente nulla, mentre per gli amanti dell’orrido, c’è la possibilità di settare il font in Arial. Una bruttezza da pelle d’oca.
In ogni caso, West of Loathing non è scemo, anzi, è più il classico genio che, stufo della mediocrità di cui è circondato, si finge un fesso completo per smarcarsi e ribadire la sua ecletticità. Questo fatto viene fuori un po’ in ogni dove, a partire dai dialoghi: in quasi tutti gli RPG, ammetto di skippare velocemente le battute – spesso infatti perdo anche i passaggi fondamentali – ma in West of Loathing no, anzi, sono proprio io che importuno tutti gli abitanti delle città, solo per il gusto di sentire un’altra geniale battuta. Il senso dell’umorismo di West of Loathing è qualcosa di unico, non ricorre mai alla volgarità per strappare una risata forzata, ma si basa tutto su geniali giochi di parole e situazioni fuori di testa, come una comunità di hippy insediata in un fortino abbandonato, che vive vendendo i rimedi naturali della Madre Gaia. Cioè? Erba. Ma è proprio il modo in cui è scritto il dialogo ad essere magnifico:
Da non sottovalutare anche il gruppo di nerd che gioca a dei giochi di ruolo in un gioco di ruolo, oppure una classe di aerobica che balla sul ritmo di una disco-banjo o, ancora, il custode di un museo di ossa di animali, in mezzo al nulla. C’è pure un tizio che si è fuso con un cactus. Il free roaming di West of Loathing si basa su una mappa puntellata da città, miniere e tutto ciò che di più classico c’è nel far west, solo in una variante più bizzarra, e ogni scenario merita di essere visitato a fondo, anche solo per il gusto di vedere quali altre improbabili situazioni hanno messo in piedi i dev. Anche l’inventario non è la solita lunga asettica sfilza di oggetti con qualche statistica sparsa qua e là, ma ogni singola descrizione è una piccola perla. La cosa veramente fantastica è che, nel far west di West of Loathing, tutto questo è perfettamente lineare e coerente, le battute non sono gratuite e fine a sé stesse, ma nascondono indizi e preziose informazioni per risolvere le numerose quest: il titolo fa un uso abbondante di puzzle che, nemmeno a dirlo, sono tanto assurdi quanto geniali. Ve l’ho detto, West of Loathing non è scemo, fa solo finta di esserlo, e per portare a termine gli enigmi serve una profonda immedesimazione in quelle situazioni senza alcuna logica e il giocatore è costretto a calarsi fino al collo nel mondo creato da Asymmetric: anche le più banali missioni di consegna nascondo delle trovate incredibilmente argute e intelligenti. West of Loathing spinge a sperimentare soluzioni sempre nuove, perché non si sa mai cosa può celarsi anche dietro l’oggetto più banale: uno specchio è un ottimo mezzo per auto-insultarsi ed accrescere le statistiche, mentre una sputacchiera può contenere, sotto qualche dita di disgustoso viscidume, un volume da leggere e dai cui apprendere nuove mosse. L’unico vero ostacolo in West of Loathing è la barriera linguistica: i giochi di parole abbondano e non sono dei più semplici e per comprendere ogni scambio di battute occorre una profonda conoscenza dell’inglese. Non mi vergogno a dirlo, qualche cosa è sfuggita anche a me, e sono venuto a capo di un paio di enigmi proprio tentando a casaccio.
La parte meno riuscita di West of Loathing sono forse i combattimenti a turni, non che siano brutti, ma sono molto classici e si risolvono in pochi turni, anche se non mancano dei veri tocchi di classe. Alcuni incontri sono piuttosto ostici – soprattutto quelli della main quest – e richiedono di elaborare delle strategie, sfruttando all’unisono le abilità del protagonista e della sua spalla, magari bloccando con un lazo per un turno il nemico, per poi scagliare una dinamite, oppure attivando una mossa speciale per colpire con un sol fendente tutta una fila di avversari. Il vero valore aggiunto sono però i numerosi e, ovviamente, assurdi equipaggiabili, soprattutto i cappelli. Quelli di Asymmetric devono avere una particolare ossessione per i copricapi, altrimenti non si spiega perché ce ne siano così tanti: volete mettere l’importanza di un cow-boy che fa fuori goblin obesi indossando la tiara di un finto papa? Oppure un cappello rastafariano, senza mai dimenticarsi di sua santità, perché il femore di un ossuto ex abitante della Santa Sede – in realtà era un impostore! – è ottimo da menare sulla testa di pericolosi serpenti. Sul finale ho poi apprezzato la Blechscalibur, un tarocco della spada di Re Artù, coperta di sputi di tabacco. Il richiamo ai cavalieri della tavola rotonda non è poi l’unica escursione extra-ludica che si concede West of Loathing, perché i richiami alla cultura pop, le citazioni e le prese in giro anche alla società americana e occidentale non mancano ma, come tutto il resto, sono coperti da un senso dell’umorismo fuori dal normale.
Con West of Loathing è stato amore a prima vista: ancora prima di conoscere il mio cavallo strabico, ero già stato conquistato dalla direzione artistica minimale del gioco, basata solo su pupazzi stekko, ma anche questo tratto estetico contribuisce all’atmosfera surreale di West of Loathing. Una nota di merito va anche fatta alla colonna sonora, composta da Ryan Ike e che vi consiglio di recuperare via bandcamp: la mia top 3, perché so che vi interessa, è composta da Misbehave (In This Cave), una traccia disco-western-banjosa-sferachecaladalsoffittoegira, Sit Fer A Spell, ottima quando aspettate il treno che puntualmente ha 45 minuti di ritardo, e The Sticks-For-Hands Rag, una versione di The Entertainer, ma suonata da un vecchio sbronzo.