Gioca Giuè

Il blog di videogiuochi che non stavate aspettando altro

Ormai è noto, quantomeno ai miei detrattori, che sono un fottuto casual gamer nonchè un turista dell’HTML; motivo per cui questa recensione arriva così in ritardo, dato che c’ho messo due mesi per inserire le immagini con tanto di didascalie che vedet, dato che c’ho messo due mesi a fare il cazzo che mi pare. Ho smesso,  però, di fuggire da me stesso, ho scelto di accettarmi così come sono e, anzi, ho maturato la decisione di ergermi a campione della mia specie lanciando un contest a margine di questo articolo: disegnatemi lo stemma araldico dei C.G. così che io possa tatuarmelo sul mio considerevole bicipite di giocatore di “WarioWare: Smooth Moves“.

Ciò detto, nella mia vita di onesto casual, mi capita sempre più spesso di provare videogames che mi fanno pensare “si bellino, ma non bello come l’ultimo film di Stallone, anche se pure lui mi piaceva molto di più in Pirati dei Caraibi” e sempre più raramente di esclamare “belloinculo! spacca come quella canzone che fa :popopopopopopo. Eh! L’Inno di Mameli!” ma, recentemente mi è capitato tra le mani un gioco bello, un gioco che ho visto aspramente criticato proprio sulle colonne di GG e allora ho pensato di dare voce a quelli che, come me, non capiscono un cazzo di niente.

“The Last of Us” è uno di quei giochi-evento, dalla risonanza mediatica così roboante nell’ambiente suo proprio e così sommessamente accennata in generale, che fanno pensare ai gamers duri e puri di essere dei bambini veri e non dei pupazzi di legno, poggiati sullo scaffale di un dio minore e segaiolo ma, quando l’illusione svanisce, si resta con in mano, generalmente, un titolo gravato da un carico d’aspettative oggettivamente difficile da sostenere e poco più; a mio avviso questo non è il caso di tLoU, un gioco bello ebbasta.

Immaginatevi uno scenario urbano in totale stato di abbandono da più di vent’anni; una flora prepotente s’è presa tutto lo spazio lasciatogli dalla fuga dell’essere umano, rifugiatosi in compound malgestiti da suoi simili; il vostro veicolo sfila su una strada che consta nelle brevi interruzioni tra una voragine nell’asfalto ed un’altra ai cui lati, svettano ancora imponenti edifici abbandonati, che in un passato, lontano e intangibile quasi come un sogno, avranno avuto destinazioni d’uso commerciali o abitative mentre oggi, sono solo monumenti ad un’assenza ingombrante.

Al termine della strada imboccate la Pontina e lasciate Spinaceto; una chilometrata e trovate il primo gheimstop. Comprate The Last of Us e schiaffatelo nella vostra pleistescion per calarvi di nuovo nella stessa bellezza decadente.

Dopo i primi minuti passati a giocare a tLoU infatti, il giudizio spontaneno è lo stesso che un gamer esprimerebbe sulla vita al di fuori del G.R.A.: bella la grafica ma gameplay discutibile; non c’hai niente all’inizio, t’accompagna una cacacazzi che ti parla e ti obbliga a sfoggiare pretestuosamente tutto il parco azioni del tuo personaggio – tra l’altro limitato in senso assoluto – come se stessi per cimentarti nel primo gdr della storia o stessi compiendo la riabilitazione dopo il secondo crociato distrutto. Questo è male. Anzi peggio, perchè ti fa concentrare sulle incongruenze della trama tipo, “a cinquant’anni e dopo un invasione di morti viventi, ancora me la saltello così? Io mi vedo più risposato con una zombie femmina vent’enne; ‘chè i zombie sono un po’ gli extracomunitari dell’horror!“.

Poi però il gioco entra nel vivo, tutto pian piano si contestualizza e la deriva razionalizzante, razionale o come cazzo volete dire si argina, ricordandovi che l’astrazione è importante nel videogioco altrimenti non ci sarebbe motivo di seguire sullo schermo per decenni, le avventure di un idraulico italiano a men che non si tratti di un’epopea porno categories: reality/M.I.L.F..
Il connubio tra colonna sonora, grafica e “impianto registico” crea un’esperienza totalizzante infatti, che ti fa accettare qualsiasi cosa anche il gameplay oggettivamente scarno; si perché i pochi scontri a fuoco son sempre molto teatrali, costruiti ad hoc a seconda sia della composizione del vostro inventario in quel momento, che della tensione emotiva del troncone d’esperienza che state vivendo.

“Troncone d’esperienza”, si, perchè tLoU non è solo un gioco di “sparare agli zombie” ma anche un gioco di “sparare ai pedofili“, “ai cattivoni” e alle volte, più semplicemente “agli antipatici“. La dorsale narrativa si snoda tra varie situazioni opponendovi vari tipi d’avversari, il che crea diversi tipi d’ingaggio nelle battaglie che non saranno mai una messa pulp, ma vi daranno la possibilità di scegliere diverse opzioni di esecuzione/evasione concedendovi, scegliendo la prima opzione, una buona dose di adrena-fottuta-lina.

Altro aspetto controverso del gioco è rappresentato dagli “enigmi”, i quali, non rappresentano nessun tipo di sfida ad onor del vero, anzi, sembrano messi lì solo per darti il tempo per riflettere sul fatto che non dovresti mai e poi mai rigiocare quel cazzo di gioco ma, nel tempo materiale che ci vuole a risolverli, pur nella loro trinciapalle ripetitività, ti impongono di goderti il paesaggio, lo stesso paesaggio di cui, posata l’ennesima scala o spostato il decimo cassonetto, ti rinnamorerai sussurando: “ora arrivo e vi piscio in culo, fottuti zombie-fungo“.

Inattaccabile e universalmente amata è invece la trama, sulla quale non mi dilungherò in quanto già tantissimo s’è detto. Quello che non si evidenzia abbastanza a mio avviso, è che il nostro eroe nasce inetto e tale rimane fino alla fine del gioco, esorcizzando il mito dell’anti-eroe e riportandolo così alla sua condizione più miseramente umana e dunque sua propria: quella del coglione. Questa trovata narrativa è a dir poco innovativa, specie nei videogames ma anche in una certa cinematografia “tantoalchilo” che vuole sempre riconfermare il “mito del buon protagonista”, attore prima di tutta della sua positivissima vicenda umana. Affanculo invece, il mondo è finito belli de casa e io mi bombo di integratori scaduti che, non so bene come, aumentano le mie skill nell’uso, nonché nella FABBRICAZIONE, di armi per poi compiere scelte sbagliatissime. Essì che all’inizio ti spaventa il fatto di interpretare l’ennesimo corriere post-apocalittico.

Insomma, se vi piace fare gli haters perchè “ma no, non è solo il gamplay di tLoU, più che altro è che volevo nascere Lady Gaga, quindi c’ho rancore” si potrebbe dire che questo gioco non è perfetto, ma è certamente uno dei più armoniosi mai visti, un action-game in terza persona, dove forse l’action non è al centro, ma trova comunque una suo spazio e una sua dimensione, subito fuori il Grande Raccordo dell’Ammore videoludico: a Nanni Moretti piacerebbe.


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