La recensione che segue ci è stata inviata dal nostro fedele fan Marino Bartoletti, pregandoci di pubblicarla quanto prima e di consigliare a tutti i lettori di leggerla ascoltando i brani presenti sul seguente SoundCloud.
NB: l’idea dell’immagine di sfondo è di zamjatin, se siete della Val di Susa e vi sentite offesi, buon per voi.
Rockstar perde tutta la sua credibilità con il peggior GTA di sempre.
GTA V è un mediocre GTA. Andate, forza, andate pure a vedere il voto (è 1012) e tornate qui. Fatto? Ecco, centouno in base 2. Centouno in base due tondo tondo, non certo il primo assegnato nella storia di Gioca Giuè. Mi rendo conto che è un numero difficile da convertire in base dieci e che molti lo interpreteranno sbagliato e lo strumentalizzeranno per cantare le lodi di Rockstar. Eppure questo 1012 va dato, senza paura. GTA V è fedele alla mediocrità della serie, del free roaming e della narrazione nei videogiochi.
È una delusione incredibile, nata da una Rockstar svogliata, che non ha imparato niente dalle lezioni che avrebbe dovuto apprendere da GTA IV e Red Dead Redemption. Non sto facendo del facile trolling: la differenza c’è e si percepisce già dai primi dieci minuti di gioco (cioè esattamente quanto ci ho giocato, che dopo la noia ha prevalso): Red Dead Redemption, per esempio, è tutta un’altra razza e gioca in tutto un altro campionato.
GTA V è quello che succede quando si abbina un budget fuori di testa a un team di rubagalline presi a caso dai team cestinati da EA. Rockstar non fa nulla di strano, è il classico cash in delle produzioni a tripla A a cui siamo ormai più che abituati.
L’avventura di Michael, Franklin e Trevor è il punto di arrivo di un’evoluzione del reparto marketing di Rockstar iniziata con il vecchio GTA III. Ai tempi, il pubblico era stato conquistato dal passaggio alla terza dimensione, da quella Liberty City che sembrava permettere di fare tutto quello che si voleva, incarnando uno dei primissimi sogni di tutti i videogiocatori. Il passo successivo fu Vice City: tra fregna in costume e colori sgargianti, Rockstar diede vita a quello che per alcuni è un capolavoro, per altri no. La trama iniziava ad essere wannabe film di azione, plagiando a piene mani a “Scarface” e al campionario di Tarantino e il gameplay era come un orologio a cucù inceppato. La dissoluta Vice City incanalava le fantasie del giocatore in quell’atmosfera piaciona eighties che tanto fa parte della nostra cultura (cfr. il celebre programma Drive In). Il passo successivo, a mio avviso, fu addirittura quello più incerto della serie, quindi pensa un po’ che merda. Rockstar osò troppo, infilando l’enorme San Andreas nell’ormai stanco hardware della PS2. Il gioco, anch’esso mediocre, era troppo grande: alcuni contenuti erano diluiti nella noia assoluta e moltissime delle attività secondarie erano dimenticabili.
Con la nuova generazione, ossia con Xbox 360 e PlaySttion 3, Rockstar ha ricominciato da capo con GTA IV. Ritornando simbolicamente a Liberty City (d’altra parte, ormai Drive In chisselo incula più), l’avventura racconta la piaga dell’immigrazione rumena, giunta ormai anche oltreoceano. Un pesante modello di guida e una trama al limite dello sticazzi posero GTA IV diversi gradini sotto la concorrenza. Con un rapido fast forward, nel quale Rockstar ha sperimentato con due dimenticabili espansioni (The Lost and the Damned e The Ballad of Gay Tony) e soprattutto con Red Dead Redemption, ad oggi l’unico gioco valido e degno di nota dell’intera produzione Rockstar, arriviamo a oggi, al termine della lunghissima attesa che ci ha portato al quinto episodio. Il salto da GTA IV a GTA V ricorda tantissimo quello che ci fu tra GTA III e Vice City: la tecnologia non è cambiata più di tanto, l’hardware è lo stesso, ma la grafica è nettamente superiore mentre il resto fa cacare uguale.
La cosa che mi ha sorpreso di GTA V non è la grandezza di Super Santos, né la quantità di attività disponibili. Sono entrambi dati rilevanti, per carità, sennò manco sarebbe un free roaming, ma nel 2013 anche sticazzi di pilotare moto d’acqua senza poterle rubare a ignari naviganti saltandoci sopra da quattrocento metri di distanza col mio fido rampino. La vera involuzione è la trama. Michael, Trevor e Franklin sono come dei Fantozzi, stereotipati impiegati colmi di cliché narrativi. Hanno una storia, certo, e un carattere, e dei sentimenti, ma questi ultimi vengono costantemente infranti dal non riuscire mai a sapere chi ha fatto palo. Missione dopo missione (es. la partita di calcetto scapoli contro ammogliati nella fanghiglia, forse l’apice narrativo di GTA V) impariamo a conoscerli nonostante l’assoluta indifferenza nei loro confronti che ci accompagna durante tutto il gioco. Pur non rinnegando gli eccessi che sono propri del genere teen drama, GTA V racconta una storia a cavallo tra l’amicizia e le prime storie d’amore, piena di petting in camporella e tradimenti con professionalissime operatrici del sesso.
I dialoghi sembrano scritti da quel Kevin Williamson di dawsonscreekiana memoria che tanto ci ha accompagnato in gioventù. La serie non è nuova ai lunghissimi e tediosi dialoghi sulle qualità registiche di Spielberg, ma qui gli sviluppatori hanno davvero esagerato, avendo la faccia tosta di infilare discorsi del genere lunghi quasi dieci minuti, specialmente nei lunghi viaggi dalle strade di Super Santos alla campagna di Blaine County, con a disposizione solo una musicassetta di Pino Daniele (periodo seconda metà anni 90) nel vano portaoggetti. Chi tiene in mano il controller non è passivo, perché sta guidando e deve fare attenzione alla strada, ma il mangianastri non ha la funzione di riavvolgimento automatico e per risentire il nastro è necessario cercare una ben nascosta matita a cui segue un superfluo e tedioso QTE per riavvolgerlo. In altri giochi si parlerebbe di tempi morti, ma qui è tutta nostalgia dei bei tempi andati. È proprio per questo che il ritmo di GTA V è lento come la morte. Ci sono momenti in cui il gameplay rallenta a morte e ti viene voglia di giocare a Dear Esther per provare un po’ di ebbrezza action. E poi boom, le tre luci rosse. Noiose missioni preparative culminano generalmente in un nulla di fatto. Il brutto è che quasi tutto è affidato al lancio di un D20 virtuale: gli script ci sono e si impongono sull’intero sviluppo narrativo. Difatti i momenti più belli che ho vissuto con GTA V, quelli in cui ho buttato il controller sul divano e mi sono alzato per esultare, sono stati tutti generati da eccessi hollywoodiani di qualche esplosione precalcolata.
Buona parte di questo insuccesso è dovuta alla possibilità di passare da un protagonista all’altro. È una proverbiale gatta al lardo, per la quale la PETA ha addirittura istituito una class action di grande rilevanza mediatica. In questo modo vengono eliminate le fasi più interessanti delle missioni e la diversità delle situazioni, in favore di insostenibili sviluppi di trama. In tutti i GTA passati mi sono sempre capitati numerosi momenti di noia, ma in GTA V si esagera. Non si fa in tempo a prendere in mano il controller che già parte una lunghissima cutscene che ci spinge verso un’altra cutscene e poi un’altra ancora.
L’altro dettaglio che ho disprezzato di GTA V è che ha una paura fottuta di essere un videogioco. Tolta la grafica e il dettaglio realistici, rimane poco e niente. Il messaggio è chiaro: affittatevi una videocassetta al videonoleggio sotto casa. La fisica delle vetture è così descrivibile: per raddrizzare un veicolo ribaltato basta inserire il Konami Code e durante i salti si possono attivare dei minirazzi che ci aiuteranno a planare a terra. Questi ed altri dettagli dimostrano come la Rockstar abbia voluto impostare la fisica di guida su canoni iperrealistici che risultano fastidiosi e ingiocabili sul breve, medio e lungo termine. Le auto e le moto hanno una trazione che permette di scalare montagne, cosa che però non è permessa a causa di muri invisibili; il paracadute non si apre mai (forse un day one bug) e le carrozzerie ricordano pericolosamente le pareti di carta di riso di un ryokan del Tōhoku. La polizia è presente ma è usa chiudere anche entrambi gli occhi, specie per reati d’odio o femminicidi. Per queste sviste e la fisica buggata intendo criticare Rockstar. Personalmente, ritengo quella intrapresa da GTA V la direzione sbagliata e che molto di quanto accade nel gioco sia stato lasciato al caso in uno sviluppo sporco e disordinato. Nulla a che vedere con i salti e le acrobazie di veri e propri capolavori, quelli sì, come Just Cause 2 o Tropico 4. Se voglio una simulazione perfetta della realtà, infatti, posso lanciare proprio Just Cause 2 e dirottare un aereo di linea, e spero che non ve ne abbiate a male se preferisco le isole tropicali ai grattacieli del centro di Super Santos.
Già, Super Santos. Colpisce proprio il nome, così nostalgico della nostra infanzia passata a giocare nei cortili nella speranza che non si alzasse il vento. Super Santos è fortissimamente Latina, molto più di quanto Liberty City sia mai stata Frosinone. I quartieri sono finti, come sempre, ma la verosimiglianza con l’architettura razionalista è da lasciare senza fiato. Tutte le zone della città ricordano l’Agro Pontino appena prima del fascismo. Anche senza giocare, è possibile – non che qualcuno sano di mente voglia farlo sul serio, ma la possibilità c’è e per ragioni professionali va riportata – perdersi per ore ad ascoltare i dialoghi dei passanti nel loro irritante dialetto del basso Lazio. E poi ci sono le radio, la televisione e la Multisala Oxer di viale Nervi. GTA V nasconde un totale di 7 minuti e 23 secondi netti di intrattenimento che non ha nulla a che fare con l’avventura principale, e che nonostante la brevità, riesce a diluirne ulteriormente la narrazione. In tutta onestà non so dirvi quanti secondi ho passato a guardare la televisione di GTA V (c’era Xzibit, forse era Pimp My Ride ma non ricordo), ma l’assenza di digitale terrestre ha limitato parecchio la diversità dei contenuti. È proprio questo che fa capire quanto sia monco GTA V: è un gioco nel quale un producer pazzo ha investito chissà quanti soldi e ore uomo per filmare un fermo immagine di Xzibit sorridente che probabilmente avrò visto solo io. Perché? Per buttare i soldi dei contribuenti (e non fatemi iniziare con la questione delle auto blu). “Because we can”. Solo Rockstar può permettersi di sperperare così tanto i 69.99€ degli appassionati della serie e passarla liscia.
Vogliamo parlare della selezione musicale? No, non facciamolo.
La grafica, come avrete già visto dai video e dalle immagini, è poco credibile. Non fa nulla che non si sia visto su PC nei primi anni 90, ma spreme all’inverosimile l’hardware del 3DO. Nel mio test, effettuato su un Atari Lynx ho visto un frame solo per tutta la durata della prova, con rari incrementi di rate e per di più ho notato gravi problemi di pop-up (nonostante tenga AdBlock sempre attivo). Queste indiscutibili carenze tecniche rendono GTA V un titolo opaco, non certo arricchito da una crassa direzione artistica.
Per finire, come sempre, GTA V si riconferma la solita rottura di coglioni senza appello. Volete farvi una partitina a tennis? Giocate a Virtua Tennis. Volete giocare a golf? Giocate a Virtua Golf. Volete darvi allo yoga? Giocate a Virtua Yoga. Le poche attività secondarie partono tutte da un tizio che si incontra tra le 7.30 e le 7.45 (orario reale) lungo uno sperduto tratturo nel bel mezzo della contea. Ho giocato a GTA V per dieci minuti interi, facendo due pause che dovevo pisciare, e ho la sensazione di aver visto tutto. Per finire il gioco al 100% mi ci saranno voluti neanche 5 minuti e da lì in poi la voglia di riaccendere la console è zero. E stiamo parlando solo dell’esperienza in singolo e non di GTA Online, che potete ben immaginare che merda potrà mai essere, con tutto quello che costerà, poi.
Se amate la serie, leggete un buon libro piuttosto. Ma se deciderete di giocare a GTA V, sappiate che vi giudicherò dall’alto dei miei celebri baffi. GTA V è il gioco che nessuno voleva ma che la Rockstar ha fatto ugualmente perché pecunia non olet. Se invece fate parte dei detrattori del free roaming, davvero avete letto fino a qui? Una grande generazione come quella di Xbox 360 e PS3 non poteva avere un canto del cigno migliore di The Last of Us, e infatti non l’ha avuto. Centouno in base due. Meno della sufficienza a Rockstar.