Gioca Giuè

Il blog di videogiuochi che non stavate aspettando altro

Vorrei cogliere l’occasione del mio annuale ritorno teorico su Gioca Giuè per esporre alcuni punti del magmatico pensiero baudrillardiano che mi sono sempre stati particolarmente cari: nessuna circostanza mi sembra più adatta allo scopo che l’uscita di Super Hexagon, gioco dell’iperdecennio ovviamente portato-alla-luce dalla superiore mente di Terry Cavanagh.

Il tema di cui vorrei parlare tramite le esagonali visioni concentriche disponibili su Steam in cambio di soli due petroldollari americani (ed in versione ridotta online) è in realtà una continua deriva scaturita dalle mie esperienze adolescenziali in ambito fantascientico – decisamente poco informate e specializzate – ascrivibili alla costellazione Urania-Ciclo della Fondazione-Spielberg e culminate in Evangelion-Planetes-Tsutomu Nihei. L’immaginazione spaziale che mi ha non consciamente accompagnato dai dieci ai vent’anni (intendendo con spazio una generica cornice esterna dell’atmosfera di profondità infinita) è giunta ad una catarsi rivelatoria solo con la lettura di sparsi frammenti dall’opera di Jean Baudrillard che andrò a riassumere sotto l’etichetta generale (dichiaratamente sloterdikjiana) di: lo spazio si è compresso e ci è collassato addosso. Se infatti nella fantascienza standardizzata lo spazio è stato per lunghi anni coerentemente concepito come una frontiera di profondità infinita-eppure-penetrabile con una infantile accelerazione di pochi secondi necessaria a superare la velocità di fuga dalla terra da veicoli funzionalmente inconcepibili destinati a fluttuare in un vuoto indefinito a velocità apparentemente ridicole, la fine della modernità (identificata da Azuma con la parabola discendente che ci ha schiantato in una postmodernità ormai stantia nel lontano 1989) ha portato ad una rivoluzione silenziosa (anti-anticopernicana?) in cui non è più l’uomo a lanciarsi giocosamente [non a caso] oltre la frontiera atmosferica, bensì è lo spazio, come ironica entità revanscista (o come farsa), a crollarci addosso assieme alla fine delle illusioni esploratorie di matrice coloniale: l’uomo non è su Marte, né  sulla Luna, né in effetti nello spazio stesso (a tutti gli effetti, la ISS orbita ben sotto la quota dei satelliti geostazionari), e se ci fosse sarebbe assolutamente inutile.

Space Invader
Il fascino e l’ansia da caduta hanno sempre indubbiamente profittato della componente emozionale di disastri aereospaziali impressi nelle memorie televisive della nostra infanzia.

Vorrei qui presentare la mia tesi, appena abbozzata, riguardo la qualità prescientistica dalle rappresentazioni astronavali videoludiche da Space Invaders in poi: mi sembra sempre più evidente, infatti, che i videogiochi sono stati i primi silenziosi ricettori dell’inversione spaziale che andava annientando, con ondate di nichilismo concentrico e disillusione incurabile, intere economie libidinali occidentali. Da qualunque punto di vista la si approcci (Third Impact, alieni pixelliformi, meteoriti stranamente precisi) l’avventura romantica è finita: ora è lo spazio stesso a piombarci addosso.

Third Impact
L’immaginario apocalittico di una postmodernità in cui la mappa soprassede il territorio è necessariamente configurata come un inferno concentrico in cui l’esterno è la continua minaccia di precipitare nell’interno.

Non contenta, l’umanità ha completato la simulazione con simulacri decisamente concreti, sigillando con orbite rassicuranti e tracciamenti satellitari l’intera esperienza spaziale, fino a intrappolare qualunque sogno di fuga orbitale sotto una cappa di detriti medicalizzati – Sindrome di Kessler e fantasie apocalittiche. Chi si sognerebbe di oltrepassare i confini di uno spazio non appiattito da Google Maps?

Sindrome di Kessler
satellizzazione * velocità = frammenti
frammenti * velocità = morte spiraliforme

La mappa precede l’unico territorio possibile e le derive sono rese impossibili da minuscoli frammenti lanciati a velocità improbabili verso il pozzo di gravità. Super Hexagon e Terry Cavanagh dunque ci parlano proprio di questo. Anzi no, non c’è nulla di dialogico: Super Hexagon, il primo vero e proprio gioco assoluto e l’unico arcade ormai possibile, ci rivela l’essenza spiraliforme del nostro essere intrappolati nella caduta di uno spazio geometrizzato che fino ad oggi sapevamo solo definire con ardore utopico e progressista. Super Hexagon è la violenza acrida del continuo assalto di simulazioni decentrate che possiamo evitare solo tramite il movimento codificato in due direzioni. Super Hexagon è la fuga impossibile da una satellitizzazione indiscriminata proiettata verso la sicurezza totale all’esterno della quale è cresciuto un deserto di simulacri in eterna precessione. Super Hexagon rappresenta tramite una doppia (e convulsamente alternata) circolazione il collasso della fantascienza, la labirintica pratica semiotica di un universo mappato fino alla saturazione.

Cubo-Esagono
L’esagono spiraliforme dell’uragano perpetuo sul polo Nord i Saturno è un tipico esempio di non-euclidizzazione completa. In questo caso, la spiralizzazione è ormai irreversibile.

Super Hexagon incarna l’assuefazione alla geometria non-euclidea, l’unico rimedio che ci rimane per dare una senso all’assurda questione dell’interno in cui siamo intrappolati, l’unica via per non vedere la nostra vita come un viscido nastro di Möbius: A, o D. Orbitare in senso orario, o antiorario, lungo la superficie di una terra raggrinzita. In Super Hexagon l’esagono non è un poligono di sei lati, bensì una delle molteplici possibili configurazioni della nostra morte, e Terry Cavanagh ce ne regala una rappresentazione non ulteriormente perfettibile, condensata nella sacra trinità di comandi destra, sinistra, e restart, non a caso assegnato alla barra spaziatrice. Spazio.    Spazio.            Spazio.


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