¡Attenzione!
Questa è una recensione SERIA! Se non siete daccordo con il leggere recensioni serie, allora proseguite pure con il resto del blog.
Esistono degli autori che riescono a inserire nelle loro opere qualcosa di intimo, come il seme che porta i geni del padre nel figlio.
Fumito Ueda è un game designer celebre per aver creato i due capolavori ICO e Shadow of the Colossus.
Queste due opere condividono un’ambientazione solenne, paesaggi immensi (chiusi o aperti) e la quasi totale assenza di personaggi all’infuori del protagonista e dei rarissimi nemici.
ICO ha una storia semplice ma realizzata in maniera ineccepibile. L’immedesimazione con il protagonista avviene subito, nell’istante in cui prende per mano la protagonista e iniziano l’avventura. Quello che avviene dopo è indescrivibile, puro splendore ludico ed emozionale, e in ogni caso non è di ICO che intendo parlare in questo post.
Shadow of the Colossus è tutto il contrario. Wander (chiamato erroneamente Wanda in occidente a causa della traslitterazione dal giapponese), in groppa al fido Agro, giunge nel Tempio del Culto portando il corpo della sua amata Mono, chiedendo di esaudire il suo unico desiderio: resuscitarla. Dormin, l’ambigua entità che domina le terre intorno al Tempio, lo avverte che il prezzo da pagare sarà immenso, ma l’abnegazione di Wander è massima e subito intraprende la sua avventura che consiste nella distruzione di sedici colossi.
Appena usciti dal Tempio, portando al galoppo Agro, ci si rende immediatamente conto di una cosa: l’area esplorabile è immensa. E non c’è assolutamente nulla di nulla.
Ogni tanto un falco, o una lucertola o una tartaruga, sono l’unica fauna del luogo.
Ovunque impera il silenzio e la solitudine malinconica che si prova quando ci si addentra nelle zone più ombrose è davvero claustrofobica e si pensa solo a spronare Agro il più forte possibile per uscirne.
Sono i colossi a spezzare l’armonia del paesaggio. Enormi esseri, umanoidi o animaleschi, forse creati da forze supreme, trasudanti odio, probabilmente indistruttibili, ma con un punto debole nascosto da qualche parte in mezzo alla loro pelliccia.
E quando il nemico è così grosso, per colpirlo nei punti vitali, l’unica cosa da fare è scalarlo. Ed è qui che Shadow of the Colossus diventa grande.
Scalare un albero o una montagna non è una novità. Ma scalare un enorme essere che si muove e che si agita per farti cadere e ucciderti è tutta un’altra cosa.
In breve ci si accorge di premere il tasto per rimanere aggrappati con tanta forza da aver quasi paura per il pad. Si vede Wander che viene sbatacchiato ovunque, una mano cede, ma l’altra resiste perchè cacchio con tutta la forza che sto usando sul pad non può assolutamente cadere.
E poi si sale, lentamente, con fatica infinita, si salta da una gamba all’altra ci si immerge nella pelliccia del colosso e finalmente da qualche parte un simbolo luminoso ci avverte che è il luogo giusto per sferrare il colpo decisivo, caricandolo il più possibile per sfogare la tensione accumulata durante la scalata.
Il colosso crolla, dal suo corpo lingue di anima nera si spargono e trafiggono Wander e si riparte dal Tempio, per esplorare altre terre in cerca di altri colossi, nella speranza, prima o poi che gli occhi di Mono si aprano, lasciando intravedere un abbraccio di ricongiungimento e una vita da vivere felici e contenti.
O forse no.