Nel recensire il nuovo Final Fantasy citammo Q*bert a sproposito, così un misterioso personaggio ci ha contattato per vedere pubblicate le sue memorie riguardo questo agghiacciante cabinato e rendergli giustizia. Quella che leggerete sarà una delle tante recensione retrogame che Il Malvagio Messere ci fornirà!
Nell’estate torrida del 1982, con l’Italia su di giri per un mondiale vinto dopo una vita di attesa, fece capolino nel bar di un paesino in provincia di Lecce un nuovo gioco cabinato che avrebbe segnato per sempre l’esistenza dell’allora decenne sottoscritto.
Una piramide fatta di cubi, sospesa nel vuoto cosmico, nel nulla assoluto, nel non si sa. Bastava questo a incutere la giusta inquietudine e a spingere noi bimbetti a spendere 200 lire alla volta per seguire le imprese di Q*bert, un non ben identificato mostriciattolo dello spazio con la proboscide attorcigliata.
Tra noi c’era un bambino un po’ più grande, assomigliante in maniera impressionante ad un giovane Paolo Villaggio (ai tempi del primo Fantozzi). Costui era il nostro eroe, silenzioso, impassibile e imperturbabile completava quadri su quadri, lasciandoci a bocca aperta, tra caldo appiccicoso, fumo del locale e zanzare grandi quanto il cabinato.
Q*bert saltellava lungo i cubi della piramide e ne colorava la facciata superiore. Lo scopo era ovviamente colorare tutta la piramide. evitando di farsi catturare da serpenti maligni che scendevano da chissà dove, sempre dal vuoto cosmico, dal nulla assoluto, dal non si sa.
A salvare il nostro eroe a parte l’abilità nello sfuggire ai perfidi predatori, c’erano due girandole ai lati della piramide che trasportavano il proboscidemunito verso la cima della stessa. Se per un errore di calcolo si mancava la girandola, Q*bert cadeva nel vuoto assoluto, buio e nero come la disperazione che lasciava nell’animo di noi bimbetti.
La vita già da allora era gioia, spensieratezza, vittorie e saltelli, ma anche fuga, disperazione, angoscia e vuoto cosmico. Per mesi ho saltellato per strada tipo Q*bert, disegnando piramidi ovunque, anche nei cessi degli autogrill. Q*bert allora come oggi era la rappresentazione stessa dell’esistenza. Si salta, si scappa, ci si salva o si finisce nel vuoto assoluto…
Semplicissimo, sublime.
Ah, grazie giovine Villaggio, ovunque tu sia, trent’anni dopo.
A seguire foto ilari che ritraggono il nostro Q*bert nelle situazioni più disparate: