Gioca Giuè

Il blog di videogiuochi che non stavate aspettando altro

Finalmente il tanto atteso tassello mancante del mio precedente articolo!

Svolgimento

Lo spaventapasseri di Conker’s Bad Fur Day

Dico subito che il tutorial è capolavoro.
Best tutorial ever, forse secondo solo a quello di Conker’s Bad Fur Day con lo spaventapasseri.

La giornata perfetta: ti svegli in mutande che hai un fisico decisamente migliore di quello del videogiocatore standard e hai la voce di Pino Insegno. E anche una moglie e due figli che però sono usciti, quindi puoi goderti la tua immensa casa da affermato architetto (la casa è chiaramente stilosa tipo la casa dell’uomo di Karen nella prima stagione di Californication).
Ti fai una doccia mostrando il culo agli spettatori (c’è a chi piace, ma per nostra fortuna più in là si vedranno due tette e un culo femminile, poi magari più avanti si vede anche il pelo, non so).
Colazione con caffè e un succo indefinito.
Visto che hai uno studio in casa, ti svegli quando ti pare e poi ti metti al lavoro se ti va. Due strisciate di matita tirate via col righello e anche oggi ci siamo guadagnati il pane.
Poi tornano moglie e figli, un bacio alla signora e via a giocare con i bimbi.

La giornata perfetta per il tutorial perfetto.

Tutto molto solare e gioioso ok, ma che bisogna fare?
Bisogna agire. Facile.
Muovendo le levette analogiche e spostando il Sixaxis si possono compiere le azioni suggerite dal gioco. Tipo lavarsi, vestirsi, prendere cose dal frigo, giocare coi bimbi.
Ogni minima azione (che non sia lo spostamento, gestito in maniera più canonica) è un movimento del pad. Usare lo spazzolino da denti = agitare su e giù il pad. Aprire le finestre = ruotare la levetta destra da destra verso il basso. Combattere per giuoco contro tuo figlio = premere alcuni tasti al momento giusto.
Più facile a dirsi che a farsi. Ma questo è solo il tutorial.

Suzuki aveva spianato la strada, ma Cage ci passa con la mietitrebbia

È evidente che David Cage, cioè la mente dietro Heavy Rain, vuole citare Shenmue, cioè il gioco davanti la mente di Yu Suzuki. Dal modo di muoversi ai QTE (Quick Time Event, cioè premere al momento giusto i tasti che compaiono su schermo).
Peccato però che Cage sembra non essersi accorto che oltre ai comandi, in Shenmue c’è dell’altro. E dà così la possibilità a tutti i detrattori del capolavoro Sega di comprendere, finalmente, che hanno sempre sostenuto cazzate.
Tutti lì a dire:

Eh ma la trama di Shenmue è una robaccia di serie B.
E poi che palle girare a casaccio e guadagnare soldi facendo braccio di ferro.
E quei dialoghi fintissimi!

Cazzate.

L’atmosfera, prendete l’atmosfera di Shenmue.
I sobborghi tipo di Tokyo, le stradine di Hong Kong, le montagne cinesi, non importa. Tutto è permeato da qualcosa di magico, di reale eppure etereo, di vivo e sognante, tutto. Non c’è nulla che caratterizzi esplicitamente gli scenari, come l’incessante pioggia in Heavy Rain, ma è tutto immediatamente riconoscibile e familiare.
Semplice: in Shenmue si esplora, si gira, anche a caso perché no, ci si affeziona ai luoghi, piano piano si smette di usare la mappa perché si impara a conoscere la città. Sai dove trovare il pachinko e dove lavorare al porto e dove rilassarsi al parco. In Heavy Rain invece non si esplora. Tutti gli ambienti sono messi in fila, uno dopo l’altro e non si fa in tempo ad apprezzarne gli infiniti dettagli, che già si è da qualche altra parte e presto ci si scorda di tutto.

Oppure prendete le tematiche.
Heavy Rain propone temi particolari e anche piuttosto pesanti. Il rapporto tra genitori e figli, il dolore della perdita (portato all’estremo proprio da quello splendido tutorial), l’essere disposti a dare tutto per riavere la cosa più cara.
Shenmue è più banale. Il protagonista vede l’omicidio del padre e vuole vendicarsi, fine. Però nella sua avventura accadono cose di grande emotività e senza scomodare concetti per forza di cose intensi, che fanno leva sui sentimenti comuni.
No, Shenmue va oltre e riesce a fondere completamente il giocatore con l’avatar seppure tra i due non vi sia alcun punto in comune. E trascina il giocatore in eventi piccoli e assurdamente poetici che a raccontarli sembrano cazzate e forse lo sono davvero, ma quando ci giochi, quando ti accadono addosso, non lo sono per nulla.
In Heavy Rain c’è un pezzo splendido in cui bisogna cambiare il pannolino a un neonato dopo aver salvato la madre da un tentato suicidio. È una scena piccola, inutile ma a suo modo importantissima. E che mi ha ricordato le scene piccole di Shenmue.
Tipo quando per addestramento bisogna prendere al volo un petalo di ciliegio che cade lento dall’albero con un gesto rapidissimo e precisissimo. Un solo petalo tra i tanti che cadono, solo uno è quello giusto. Ci si concentra su di lui, lo si focalizza, ci si prende tutto il tempo del mondo, il respiro si sincronizza con il suo fluttuare e solo allora si deve premere il tasto per sferrare il colpo. E se il tutto non è perfetto (non nel gioco, eh, ma è il giocatore a dover essere perfetto), il movimento è maldestro e il petalo sfugge alla presa.
Non esiste nella storia del videogioco, e forse in generale nella storia dell’intrattenimento, un altro momento così puro e perfetto (che peraltro delinea precisamente cosa è Shenmue).

Cage probabilmente non ha capito l’essenza del petalo di ciliegio.
Ha preso solo la sostanza di Shenmue e ne ha tralasciato la forma. Ha dato a quella sostanza una trama matura e complessa (molto più di quella di Shenmue, sia chiaro) e ha inserito tutto in un contesto che ricorda tanto X-Files. Ha inserito situazioni toccanti e commoventi, ma si è dimenticato di fondere il giocatore con il gioco.
E così Heavy Rain rimane nulla più che un film interattivo dall’ottima trama e dalla splendida grafica.
Dimostrando che la sensibilità giapponese nulla ha a che vedere con la pragmaticità occidentale.


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